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9 marzo: Santa Francesca Romana, Advocata Urbis

Patrona degli automobilisti

Il popolo la chiamava “Ceccolella”. Era conosciuta per la sua carità, per non vergognarsi a tendere la mano nel chiedere l’elemosina a favore dei poveri. Lei che era nobile di nascita e di rango. Si chiamava Francesca Bussa in Ponziani.

Nacque a Roma, nel 1384, figlia di Paolo Bussa di Leoni e di Giacobella di Roffredeschi. Fin dall’infanzia, amava leggere le biografie dei Santi ed era attratta dalle cose dello spirito. Ebbe come direttore spirituale dom Antonio di Monte Savello, un benedettino olivetano, che officiava la chiesa di Santa Maria Nuova al foro. Desiderava consacrarsi a Dio, ma a 12 anni, il padre aveva già concordato il matrimonio con Lorenzo Ponziani che apparteneva a un’agiatissima famiglia.

Una volta sposata, si occupò dei compiti domestici nel palazzo del marito nel quartiere di Trastevere, vicino alla Basilica di Santa Cecilia. Proseguì a vivere nella pietà e nella penitenza, confessandosi ogni settimana. Trovò in Vannozza, moglie del fratello maggiore di suo marito, una compagna di fede, con la quale si recava in pellegrinaggio nelle Basiliche romane.

Nonostante la sua posizione sociale, la vita di Francesca fu segnata da numerosi dolori e grandi difficoltà familiari. Due figli le morirono in giovane età a causa di un’epidemia. Nel periodo tra il 1408 e il 1414, durante una delle occupazioni armate di Roma da parte delle truppe napoletane, la famiglia Ponziani, fedele alla Chiesa e agli Orsini contro il re Ladislao d’Angiò-Durazzo e i Colonna, subì ritorsioni e vendette. Suo marito fu ferito in modo grave, tanto da rimanere infermo per tutta la vita; il cognato Paluzzo fu esiliato e il figlio Battista, ancora bambino, venne preso in ostaggio. Il suo palazzo venne saccheggiato e i beni confiscati. Vennero restituiti

Anche nella tribolazione continuò le sue opere di carità e di assistenza, sostenendo poveri e malati. Prestò servizio negli ospedali di S. Maria in Cappella, di S. Cecilia e di S. Spirito in Sassia. Aprì il suo palazzo a chi aveva bisogno e si rivolgeva a lei per chiedere l'elemosina. Nei periodi di carestia, svuotò il granaio e le cantine per dare da mangiare ai più bisognosi. Pur essendo moglie di un uomo nobile e benestante, rinunciò agli ornamenti tipici della vanità femminile, scegliendo di indossare abiti semplici e modesti. Vendette i capi del suo ricco corredo e usò i soldi per far cucire vestiti per i poveri.

Un aspetto da considerare è la fama che la circondava di taumaturga, capace di curare i mali del corpo e dell’anima. Intorno al 1425, Lorenzo accettò la richiesta di Francesca vivere il matrimonio in castità. Da quel momento, iniziò ad avere frequenti estasi e visioni, e divenne la guida di un gruppo di compagne che presto condivisero un progetto di vita comune.

Il 15 agosto 1425, Francesca con nove compagne, pronunciò la formula di oblazione benedettina olivetana nella Basilica di Santa Maria Nova al foro. Per qualche anno, le oblate vissero nelle proprie case, poi, nel 1433 acquistarono una casa a Tor de’ Specchi, sul lato occidentale del Campidoglio. Iniziarono così la vita comune. Intanto, Francesca condivideva con il marito le sue sofferenze, assistendolo fino alla morte, avvenuta nel 1436. Libera dal legame matrimoniale, si unì alle sue compagne e ne divenne la guida. Vi rimase per quattro anni. Morì la sera del 9 marzo a Palazzo Ponziani, recitando l'Ufficio della Vergine, a cui era sempre stata devotissima.

Tutta la città pianse la sua morte, tanto che per decisione unanime del Senato di Roma le venne attribuito il nome di “Romana” e dichiarata Advocata Urbis. Pio XI, nel 1925, proclamò la Santa, Patrona degli automobilisti. La tradizione narra, infatti, che ella vedeva l’angelo custode, mentre la proteggeva dai pericoli e, con la luce che emanava, le illuminava il cammino notturno per le strade di Roma.

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