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4 ottobre: San Francesco d’Assisi, Patrono d’Italia

Nelli Ottaviano (Gubbio 1370 ca. - ante 1449), Matrimonio mistico di San Francesco e la Povertà, 1425 circa, tempera e oro su tavola, Musei Vaticani.
Dalla ricchezza alla povertà per amore di Cristo

Un giorno, il giovane Francesco era a cavallo per la campagna nei dintorni di Assisi, quando incrociò un lebbroso sul suo cammino. Normalmente, aveva un terrore non indifferente verso i lebbrosi, non si avvicinava alle loro case e si rifiutava di guardarli. Se ne incontrava uno per strada, girava la testa dall’altra parte e si chiudeva il naso con le dita per non sentire il cattivo odore che emanavano. Ma quel giorno, non fu uno qualsiasi. Scese da cavallo e diede al lebbroso una moneta d'argento baciandogli la mano. Poi, proseguì il suo cammino. Pochi giorni dopo, con in tasca del denaro, andò a visitare i lebbrosi dell’ospizio. Li riunì e iniziò a distribuire elemosine, baciando a ognuno la mano. Aveva vinto se stesso, e da quel momento non ebbe più timore dei lebbrosi e li servì umilmente.

Francesco era cambiato, non era più il giovane spensierato che girava per Assisi vestito da giullare, facendo scherzi e bevendo con gli amici. Non più lo spendaccione dei soldi che guadagnava aiutando suo padre, Pietro di Bernardone, ricco mercante, ma un convertito all’amore verso Cristo e i fratelli. Francesco era un uomo nuovo, voleva condurre un’esistenza non più in maniera superficiale e senza senso. Comprese che il Maestro da servire era Cristo e che la sua fidanzata sarebbe stata per sempre Madonna Povertà. Era il 1205. Aveva 23 anni. Era nato, infatti, nel 1182, da donna Pica di Bourlémont, originaria della Provenza, dove suo padre si recava per commerciare tessuti. Il suo nome di battesimo era Giovanni, ma venne chiamato Francesco, proprio per le radici familiari di sua madre.

Fino all’episodio dell’incontro con il lebbroso, aveva trascorso la giovinezza divertendosi e senza pensieri. Si era unito alla milizia che difese Assisi, ghibellina, contro Perugia, di parte guelfa, ma venne fatto prigioniero nella battaglia di Collestrada (1202). Era rimasto recluso per un anno, fino a quando suo padre non aveva pagato un riscatto. In quel periodo, si era ammalato, ed era iniziato un certo riavvicinamento alla fede. Una volta rientrato in famiglia, aveva trascorso la convalescenza nei possedimenti del genitore, avvicinandosi sempre più alla natura, nella quale scorgeva un segno del Creatore. Nonostante la dura prova, aveva continuato a sognare di diventare cavaliere. Era partito, perciò, alla volta della Puglia, per combattere sotto la guida di Gualtiero di Brienne. Mentre si trovava a Spoleto, però, si era ammalato di nuovo. Così i suoi sogni si erano infranti. In quel momento, aveva sentito una voce che gli diceva di tornare ad Assisi.

Quelle esperienze lo avevano segnato, non era più il giovane di prima. Decise di dare i suoi soldi alla Chiesa e in elemosina. Ma ciò non gli bastava. Fece un pellegrinaggio a Roma e incontrò un povero. Volle provare cosa significasse essere ridotto in povertà, così scambiò i suoi abiti con quelli del misero e iniziò a mendicare alle porte di una chiesa. Al termine della giornata, riprese i suoi vestiti, dette quanto ricavato al povero e tornò ad Assisi. Da quel momento, capì che la povertà non l’avrebbe spaventato.

Non lontano da casa sua c’era la vecchia chiesetta di San Damiano, ormai in rovina. Rimaneva solo un grande crocifisso dipinto su legno. Un giorno, il crocifisso si animò e gli rivolse queste parole: “Francesco, va’, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina”. La sua risposta fu immediata: “Volentieri, Signore”.

Quindi, si mise a vivere da eremita. La gente, però, lo prese per pazzo e divenne lo zimbello dei cittadini. Suo padre, preoccupato che avesse perso la testa, lo riportò a casa, lo chiuse nella sua cantina, e lo lasciò a pane e acqua per diversi giorni. Ma l’intervento della madre gli fece riacquistare la libertà. Il contrasto con il padre sfociò in aperto dissidio anche patrimoniale.

Infatti, per racimolare i soldi per ristrutturare la chiesetta di San Damiano, Francesco utilizzò i ricavi di una vendita di tessuti. Questa scelta non piacque al padre che lo denunciò ai consoli della città. Poi, Pietro di Bernardone lo portò in giudizio anche davanti al Vescovo Guido. In quell’occasione, Francesco compì quel gesto che è passato alla storia. Nei locali dell’antica Cattedrale di Assisi, Santa Maria Maggiore, si spogliò di tutti i suoi abiti a esprimere la rinuncia a ogni proprietà terrena. Il Vescovo Guido, allora, lo coprì con il suo mantello. Con questo gesto, lo accolse sotto la protezione della Chiesa. Francesco dichiarò che Pietro di Bernardone non sarebbe stato più suo padre, ma lo sarebbe stato il Padre dei Cieli. Era definitivamente libero da ogni laccio o vincolo umani. 

Dopo aver restaurato la chiesetta di San Damiano, volle ricostruire anche altre chiese, come Santa Maria degli Angeli, che si chiamava la “Porziuncola” e San Pietro della Spina.

Distaccato da tutto, indossò una semplice tunica e inaugurò una nuova forma di vita. Percorse città e villaggi mendicando e annunciando la Parola di Dio. Da quel momento nobili, borghesi, chierici e laici iniziarono a seguirlo e a vivere sotto la sua regola, dopo aver rinunciato alle preoccupazioni e alle vanità del mondo. Bernardo di Quintavalle diede per primo tutti i suoi beni ai poveri. Alcuni compagni lo seguirono più da vicino. Si unirono a lui Egidio d’Assisi, Pietro Cattani, Angelo Tancredi, Masseo, Leone, Ginepro. Presto divennero dodici. Francesco chiamava i suoi compagni “fratelli”.

Il 24 febbraio 1209, Francesco partecipò alla Messa celebrata da un sacerdote, nella cappella della Porziuncola. Alla lettura del brano di Matteo 10, 5ss, in cui si fa riferimento alla missione affidata da Gesù agli Apostoli, comprese che quello era il programma di vita al quale era chiamato.

La prima Regola che scrisse fu un insieme di citazioni del Vangelo e norme di vita molto semplici. Venne approvata da Innocenzo III nel 1209. Con essa nacque l’Ordine dei Frati Minori, che aveva come principi fondamentali la fraternità, con la vita in comune, l’umiltà, con il servizio agli ultimi, la povertà e lo spirito missionario.

Conquistata dall’esempio di Francesco, la giovane Chiara degli Offreducci, la sera della Domenica delle Palme del 1211 o 1212, fuggì da casa per raggiungerlo alla Porziuncola. Francesco le tagliò i capelli e le fece indossare il saio francescano. Dopo breve tempo la seguì la sorella Agnese: fu l’inizio del Secondo Ordine Francescano.

Nel 1217, nel Capitolo tenuto presso Santa Maria della Porziuncola in Assisi, Francesco decise di inviare alcuni frati in Francia, in Germania, in Ungheria, in Spagna e in quelle altre province d’Italia in cui i suoi discepoli non erano ancora giunti.

Iniziò, così, a mandare i fratelli a predicare a due a due per le strade dei borghi e delle città. La sua forma di vita non prevedeva di rimanere in un monastero, ma di condividere con gli altri le difficoltà e le prove della vita.  

Per tre volte Francesco cercò di raggiungere la Terra Santa per convertire gli infedeli. La prima, si imbarcò ad Ancona, forse verso il 1212-1213, ma a causa di una tempesta approdò sulla costa della Dalmazia e tornò ad Assisi. L’anno successivo, provò ad andare in Marocco passando per la Spagna, ma una malattia lo costrinse a fare ritorno. La terza volta fu nel 1219, quando venne celebrato alla Porziuncola il secondo capitolo generale. Partì per l’Oriente passando per Ancona. Nel mese di agosto giunse a Damietta assediata dai crociati; poi, con frate Illuminato, volle incontrare il sultano al-Malik al-Kāmil, per annunciargli il Vangelo. Non riuscì a convertirlo, ma non fu oggetto di persecuzione, anzi il sultano gli consegnò un salvacondotto per girare nei suoi domini. Nell’autunno 1220, rientrò in Italia.

Nel 1219 un gruppo di Frati Minori viveva nell’eremo di Olivais, presso Coimbra, in Portogallo. Da quel luogo, cinque frati si recarono, prima nelle regioni dei Mori in Andalusia, poi in Marocco, dove furono martirizzati dai Saraceni, il 16 Gennaio 1220. Un canonico agostiniano, di nome Fernando, li aveva conosciuti a Coimbra. Rimasto colpito dalla loro testimonianza, volle entrare nell’Ordine dei Frati Minori, dove diventerà il famoso Sant’Antonio di Padova.

Nel 1223, Francesco volle rivivere l’atmosfera della nascita di Gesù. A Greccio, fece preparare una mangiatoia, un asino e un bue. I personaggi erano gli stessi pastori e la gente del luogo. L’altare per la celebrazione della messa fu proprio la mangiatoia e Francesco, che era diacono, cantò il Vangelo e poi predicò ai presenti, giunti per ricordare la nascita del Salvatore.

Il 17 settembre 1224, a La Verna, sui monti del Casentino, meditava sulle sofferenze di Cristo, quando gli apparve un serafino che gli impresse le stimmate. A San Damiano, nel 1225 compose il famoso Cantico delle creature. Nel giugno 1226 scrisse il suo Testamento, dove sottolineò l’importanza di conservare lo spirito originario della Regola, non abbandonando la vocazione di aiutare gli ultimi e i bisognosi.

Rientrato ad Assisi, sentendo ormai prossima la morte, si ritirò alla Porziuncola, dopo aver chiamato a sé la sua protettrice Iacopa de’ Settesoli (“frate Iacopa”). Circondato dai suoi frati, consegnò loro il suo Testamento, che volle fosse osservato come supplemento alla Regola, vietando di aggiungervi qualcosa o di interpretarlo. Morì, il 3 ottobre 1226, dopo il tramonto.

La mattina del 4 ottobre, fu traslato con una solenne processione dalla Porziuncola alla chiesa di San Giorgio ad Assisi. Lungo il percorso, i resti mortali vennero mostrati a Chiara e alle sue consorelle a San Damiano.

Fu canonizzato, da Gregorio IX, alla presenza della madre Pica, il 16 luglio 1228, dopo un processo canonico tra i più rapidi nella storia della Chiesa. Vennero esaminati una quarantina di miracoli da lui compiuti. Tra i quali, la guarigione di lebbrosi, idropici e paralizzati. Ma anche lo scampato pericolo per dei naufraghi, il rilascio dei prigionieri, e il ritorno in vita dopo la morte.  

I suoi resti mortali rimasero nella chiesa di San Giorgio fino al 25 maggio 1230, quando vennero trasferiti nella Basilica Inferiore di Assisi a lui dedicata, fatta costruire da frate Elia.

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