A colloquio con Barbara Jatta, Direttore della Direzione dei Musei e dei Beni Culturali
L’arte: bellezza e strumento di evangelizzazione
Un patrimonio inestimabile di creatività, di civiltà, di arte, di storia, di tradizione al servizio della fede. Con una struttura di circa 780 persone che diventano un migliaio considerando i collaboratori. Con un percorso espositivo visitato da sette milioni di persone nel 2023, e si prevede lo stesso numero anche per il 2024. Sono solo alcuni dati della complessa realtà dei Musei Vaticani che, per volere di Pio XI, all’indomani del Trattato Lateranense, ebbe un organico ed efficace ordinamento istituzionale, aperti al mondo con il portale realizzato sulle Mura Vaticane. Lo sottolinea Barbara Jatta - dal 15 giugno 2016, Vice Direttore dei Musei Vaticani, e dal 1° gennaio 2017 Direttore della Direzione dei Musei e dei Beni Culturali del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano – in questa intervista a www.vaticanstate.va.
Come vive la nomina a direttore dei Musei Vaticani?
La vivo come un servizio, una missione e un privilegio. Quando otto anni fa sono arrivata qui, non pensavo di essere nelle condizioni di poterlo fare, perché sono tante le competenze necessarie e non si possono acquisire in un attimo. Sono storica dell’arte per formazione, quindi, sono consapevole che ci vuole tanto equilibrio, buon senso, per essere responsabile dei Musei. Soprattutto, ripeto, considero un bellissimo privilegio essere direttore in un posto meraviglioso come questo con collezioni uniche. Nel mio ruolo posso contribuire alla mia città, a quello che Roma ha rappresentato nei secoli.
Quale settore dei Musei le piace di più?
È difficile a dirsi, perché in questi anni ho imparato a conoscere più approfonditamente le collezioni dei Musei, e ognuna ha il suo particolare aspetto che mi interessa. Ognuna mi attira in modo diverso. Prima non mi occupavo di Egittologia ed è tutto un mondo che non conoscevo, perché ho studiato Etruscologia e Archeologia, ma mai direttamente mi sono occupata dell’Egitto, con cronologie e dinastie dei faraoni. D’altra parte, nei Musei ci sono dei luoghi e delle opere particolari che toccano il mio cuore. Uno è senz’altro la terrazza del Belvedere. Un posto concepito dal Bramante e realizzato nel XVI secolo da Pirro Ligorio sul nicchione della Pigna. L’abbiamo restaurata proprio in questi ultimi anni. Ci si può arrivare anche in ascensore oltre che tramite una scala. In quel luogo, si fanno piccoli incontri e ricevimenti con ospiti illustri, perché è chiusa al pubblico. Dalla terrazza, si dominano i sette chilometri dei Musei e si nota il rapporto tra essi e lo Stato più piccolo del mondo. Su 44 ettari di superficie, della quale la metà sono Giardini e boschi, la parte di costruito è più o meno la metà. Si scorge anche il rapporto dello Stato con la città di Roma, con un panorama bellissimo da un orizzonte all’altro fino ai Castelli romani.
Cosa sono esattamente i Musei Vaticani?
Sono un patrimonio inestimabile di creatività, di civiltà, di arte, di storia, di tradizione al servizio della fede. Non tanto per quello che questi meravigliosi oggetti rappresentano, ma per il senso della fede e della devozione che li ha conservati, collezionati, messi insieme, musealizzati per la trasmissione. Considerando anche che abbiamo delle collezioni enormi di opere pagane. Pensiamo alle antichità greco-romane e alle opere etnologiche delle civiltà più diverse. Il principio ispiratore era l'idea di preservare opere che permettessero al visitatore di compiere un percorso spirituale. Parlano di spiritualità sia nella creatività artistica, sia nell’impegno di coloro che le hanno conservate per tramandarle. Quei valori sono insiti nei principi, ma anche nelle opere d'arte che sono la forza di questi Musei e che li rende diversi da qualsiasi altro museo. Infatti, la volontà dei Pontefice, già nei Musei Capitolini, era di condividere e offrire ai cittadini di Roma la tradizione sulla quale si era appoggiata la Cattedra di Pietro. Mostrare ciò che era venuto prima e considerare quello che di buono, dal punto di vista valoriale e morale, era stato recepito dal papato. In questo senso, le collezioni delle tradizioni precedenti erano l’omaggio dei Pontefice ai romani.
Si può, quindi, compiere un itinerario spirituale?
Abbiamo già un itinerario spirituale, sia come percorso arte e fede, un’offerta didattica con le nostre guide aperta a tutti, sia un’esperienza da fare per conto proprio, decidendo quali sale e capolavori vedere.
Per favorire ciò abbiamo ridotto il numero degli accessi, perché i visitatori possano trovare una casa aperta alla riscoperta delle proprie radici. Basti pensare al museo etnologico Anima Mundi, perché ognuno possa dire che ci sono opere di tutti i Continenti ed espressione di altre religioni, in modo da creare ponti a livello spirituale.
Inoltre, sul nostro sito internet abbiamo messo online tutte le opere esposte e, tutto ciò, prima della pandemia da Covid-19. Ogni opera è online con una scheda descrittiva, per cui i visitatori possono preparare la visita in anticipo o approfondire i dettagli successivamente.
Qual è l’opera che più le sta a cuore?
Senza dubbio una piccola tavoletta del Beato Angelico, che nessuno nota tanto. È esposta nella sala IV della Pinacoteca. Si tratta di una Madonna con Bambino che ha un’espressione così particolare che suscita emozioni in chi l’ammira. D’altra parte, il Beato Angelico, la cui memoria liturgica ricorre il 18 febbraio, lo ricordiamo sempre nella cappella Nicolina dei palazzi vaticani, dove lui ha lavorato nel xv secolo.
Cosa rappresentano i Musei per i cattolici?
Rappresentano un posto importante. Fanno capire l’attenzione che la Chiesa di Roma ha dato a una serie di opere che tanti artisti hanno messo al servizio della fede. Abbiamo collezioni diverse che vengono anche da luoghi disparati. Basti considerare le tre pale di Raffaello della Pinacoteca. Vengono da Perugia, da Foligno, e da San Pietro in Montorio. Sono arrivate qui tramite un giro particolare, portate via da Napoleone, Antonio Canova le ha recuperate dal museo imperiale del Louvre a Parigi.
Basti considerare la Madonna di Foligno, in cui si manifesta la dolcezza della Vergine, nella sua espressione massima. È frutto di un periodo magico di Raffaello. Siamo negli anni della sala di Eliodoro, nel secondo decennio XVI, poco prima della morte dell’artista. Raffaello coniuga la sua maestria all’arte plastica di Michelangelo, al colorismo dei veneti, ma al tempo stesso esprime una spiritualità profonda e la devozione di questo uomo eccezionale.
La Vergine dipinta è meravigliosa e certamente ispira. Era concepita per un segretario di Giulio II, poi di Leone X, i Papi di Raffaello. Si chiamava Sigismondi de’ Conti e l’aveva commissionata per la cappella gentilizia in Santa Maria in Aracoeli. L’opera è passata di mano in mano, fino a quando, una sua nipote entrò in un monastero di clausura a Foligno e lì rimase fino alle campagne napoleoniche di fine XVIII secolo.
Canova quando la riportò da Parigi intuì che non poteva rimanere chiusa in una cappella alla fruizione di pochi, perché con la sua potenza spirituale poteva dare tanto. Canova aveva l’idea che opere così importanti, non soltanto dal punto di vista artistico, ma anche di fede, dovevano stare in luoghi particolari, come i Musei Vaticani, dove milioni di visitatori l’hanno vista.
Da quando è stato aperto il varco sul viale Vaticano, non si deve essere cattolico o diplomatico o artista per visitare le collezioni. Chiunque può farlo. Questa è una cosa bellissima, in quanto ognuno può poter cogliere questo valore.
Può fornire qualche dato sulla struttura museale?
Siamo circa 780 persone impegnate nei Musei e arriviamo a un migliaio con i collaboratori. Abbiamo avuto circa sette milioni di visitatori lo scorso anno e prevediamo lo stesso per il 2024. Abbiamo allungato di due ore l’orario di apertura ogni giorno. Per fare questo, abbiamo ridotto gli ingressi riservati a persone che volevano visitare le collezioni in esclusiva, pagando un supplemento. Questo ha permesso di allargare i tempi per decomprimere i flussi, fissando un numero determinato di accessi ogni ora, e introducendo il biglietto nominativo obbligatorio per combattere il secondary ticket. E ci stiamo riuscendo.
Le file che si vedono fuori dai Musei sono dovute essenzialmente ai controlli di sicurezza, in quanto tutti devono passare dal metal detector. Un altro motivo è che spesso i visitatori arrivano prima dell’orario di ingresso del biglietto e non possiamo farli accedere in anticipo per la buona fruizione delle collezioni e per rendere il museo più sostenibile. Stiamo cercando di climatizzare le gallerie e speriamo per la parte più ampia di riuscirci entro il Giubileo. D’altra parte, non è facile realizzare 7 chilometri di percorso, con pareti affrescate ovunque e anche all’esterno con vincoli per edifici storici. Stiamo anche installando dei pannelli fotovoltaici sulla copertura all’entrata museale.
Quali progetti in corso?
Abbiamo tante iniziative in programma previste per il Giubileo. L’obiettivo è accogliere al meglio tanti pellegrini, facendo loro trovare non solo zone rinnovate e riallestite, ma anche una maggiore offerta. Quest’anno abbiamo aperto due nuove sale: una dedicata al Canova e una alla Farmacia Vaticana con esposizione di ceramiche e arti decorative. Speriamo di riuscire ad aprire anche la sala icone entro fine anno. Purtroppo, abbiamo perso lo spazio espositivo del Braccio di Carlo Magno, perché per il Giubileo sarà adibito a servizio sanitario per i pellegrini. Ci sono anche in progetto tante mostre nelle sale 17 e 18 della Pinacoteca, piccole, ma a tema significativo, così come nelle salette delle collezioni di arte moderna e contemporanea, faremo 3-4 iniziative giubilari. Uno spazio espositivo sarà dedicato alla fototeca con le fotografie storiche delle 7 basiliche giubilari, opera di Romualdo Moscioni nel centenario della morte.
Vorrei ricordare anche il dono di Papa Francesco, un dipinto di El Greco che raffigura il Salvatore. Ci sono anche iniziative per le Ville Pontificie di Castel Gandolfo, in occasione dell’Anno Santo, e la collaborazione con varie istituzioni romane, come l’ambasciata di Francia presso la Santa Sede, con una mostra a Villa Medici, con la Fondazione Roma e con il Maxxi per organizzare una mostra nel parco archeologico dell’Appia antica su Castro Caetani. Senza dimenticare il prestito di un dipinto del Caravaggio per l’Expo di Osaka 2025.
Qualche dettaglio sui laboratori di restauro?
La fortuna di un direttore dei Musei Vaticani è quella di poter contare sul supporto di una équipe di professionisti e restauratori. Cosa che fa la differenza con tanti colleghi esterni. I Musei Vaticani hanno sette laboratori di restauro che diventano dieci considerando l’ufficio del Conservatore, che monitorizza ambienti e fattori esterni, il Gabinetto di Ricerche Scientifiche applicate ai Beni Culturali e il laboratorio fotografico.
I sette laboratori sono stati voluti da Pio XI all’indomani dei Patti Lateranensi. Egli fece costruire la Pinacoteca dove, oltre alla collocazione in 18 sale dei dipinti nobili, creò sette laboratori di restauro suddivisi in base agli ambiti di competenza: arazzi e tessuti, dipinti e materiali lignei, polimaterico, materiali lapidei, metalli e ceramiche, mosaici, e opere su carte. In queste strutture vi lavorano circa cento professionisti. Si tratta di un centro di eccellenza internazionale a cui tante istituzioni guardano come modello.
La decisione di Pio XI si inseriva nella tradizione plurisecolare tesa alla conservazione e alla preservazione del patrimonio, espressa con una serie di chirografi che nel corso del tempo hanno scandito l’operato dei Pontefici.
Già Raffaello e il Bembo scrissero una lettera a quattro mani a Leone X chiedendo di far attenzione, di non fare calcina dei frammenti della Roma antica che uscivano dal terreno, perché ognuno poteva rappresentare parte della storia. Non è un caso che Leone X lo avesse nominato Commissario alle antichità, cioè l’incaricato che doveva tutelare le opere antiche anche della tradizione pagana.
(Nicola Gori)